PARTICOLARI
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Dal Progetto Trust Nobody // foto di Dario Salamone // Concept, styling e testo Simona Dell'Unto
Sdraiata sul lettino non pensavo a nulla: la mia attenzione era tutta concentrata su quell'uomo intento a preparare lo stencil del mio settimo tatuaggio. Non pensavo a nient'altro, il dolore, il sangue. Non ho mai pensato a quelle cose, sinceramente, ho sempre pensato che i tatuaggi fossero un qualcosa che diventa con il tempo la tua pelle. Con o senza un significato o un motivo, non importa, ciò che conta è che li senti tuoi, come se ci fossero sempre stati. Tutto era pronto, ma la mia attenzione era sempre su quell'uomo o, meglio, su ciò che indossò appena prima di sedersi sullo sgabello accanto al mio lettino. Afferrò un grembiule che, appena sollevato, fece un enorme frastuono. Il mio stupore fu moltissimo quando, con eleganza, lo legò in vita svelando una miriade di ferraglie, spille, gingilli, tutti bellissimi, tanti, colorati e scintillanti. Ero colpita dall'usura di quei materiali che pendevano da ogni parte della sua "divisa". Vedevo proiettili, ex voto, stendardi militari, piccolissime motociclette, bandiere, chiavi, numeri, dadi... di tutto. Non avevo mai visto una cosa del genere e, soprattutto, perché mai un uomo avrebbe dovuto indossare tanto peso nel lavorare a un'opera che richiede concentrazione, precisione e delicatezza? Una confusione totale, talmente affascinante da rendere quel caos decisamente elegante. Evidentemente non ero stata abbastanza discreta nell'osservare e così l'uomo, tra una linea e una passata di disinfettante, cominciò a narrarmi la storia di quella miriade di oggetti che portava con sé. Tra il ronzio della macchinetta e la sua voce, assaporai affascinata la storia di una raccolta di souvenir di vita, una sorta di collezione maniacale di piccoli simboli che segnano piccolissime tappe della propria esistenza. La cosa assurda era la totale sconnessione delle parti: un mare infinito di simbologie, anche opposte tra loro, che convivono armonicamente sulla stessa superficie. Guardare quel grembiule, insomma, era come guardare l'inchiostro sulla pelle di quell'uomo: macchie di colore diversissime tra loro, ma che trovano spazio sulla stessa persona. Una dimostrazione di passione per l'estetica delle cose, e non solo per il loro significato. Quella distesa infinita di ferro e plastica era la narrazione visiva della vita di un uomo: tutti i suoi viaggi, le persone che aveva incontrato, quel che aveva scelto di acquistare come regalo per il proprio grembiule, chissà in quale assurdo banchetto o bottega, chissà dove. Inizialmente pensai a quanto fossero dure e rigorose molte delle sue spille, ma poi notai una cosa meravigliosa: alcuni spilloni. Il primo pensiero fu ai capelli di mia nonna nelle sue foto da giovane, ma poi vidi che quelle punte di colore ostentavano forme coloratissime quasi rubate dal quaderno di scuola di un bambino e pensai a quanto fossero perfette per decorare le bretelle di quel grembiule, su fino al collo. Il ronzio si fermò di botto, insieme al racconto dell'uomo. Mi guardai allo specchio per vedere il lavoro completato, ringraziai con un sorriso e attaccai sulla tasca del grembiule una spilla che avevo sul bavero della giacca. Da quel momento sarei stata anch'io lì, in quell'assurda e affascinante collezione di cose.
* numero di spille,
toppe e ferri nel grembiule intero
75% oggetti in ferro
15% oggetti in stoffa
10% oggetti in plastica