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// Intervista a Alessandro Piu, Elia Luini, Michele Benedetti e Luca Dotto//
Corpi diversi in un unico habitat. Un Legame indissolubile, quasi necessario. Si è portati a muoversi con sicurezza nel proprio ambiente, senza incertezze, usando esperienze, traumi e gioie che, giorno dopo giorno, ci rendono più forti. Nessuno è padrone del proprio habitat: esiste solo chi è più bravo a sfruttarlo per raggiungere l'obbiettivo.
Le grandi storie cominciano sempre da un ricordo, bello o brutto che sia, un qualcosa che colpisce e segna. La curiosità è alla base, seguita subito dopo dal coraggio che si ha nell’intraprendere o abbandonare una strada. Quando si è bambini, si è incoscienti, si è più audaci, proprio perché si vuole provare tutto ciò che di nuovo ci circonda. Proprio da bambini, può succedere di ritrovarsi soli in un posto e doverne uscire, ed è proprio qui che è cominciata, per i nostri personaggi, la storia della loro passione e della loro vita nell’acqua. Da un lato una piscina velocemente attraversata dalle bracciate di chi ha galleggiato per la prima volta a quattro anni, Luca Dotto, o interrotta, nella sua apparente calma, dalle spettacolari entrate di Michele Benedetti, che ci racconta come, al suo primo appuntamento con l’acqua, l’iniziale terrore del non toccare svanì a favore di una sensazione di serenità che non l’avrebbe più abbandonato. Dall’altro lato il mare, per chi ci è nato, come Alessandro Piu, surfer sardo, nella cui mente è rimasto impresso il primo duello con l’acqua e la sua tavola, su cui balzò in piedi per istinto a dieci anni appena sentì la spinta dell’onda, e da cui non è praticamente mai più sceso. Infine un lago, dove Elia Luini ha costruito il rapporto strettissimo tra la sua barca che scivola sull’acqua e la natura.
I legami, quelli indissolubili, si creano senza un motivo per chi magari ci si ritrova dentro da sempre, come Alessandro Piu, figlio di un pescatore, che ha fatto del mare e dei cambiamenti che esso può avere un’arma da sfruttare con furbizia durante la sua adolescenza: “Quando il vento lo permetteva, ero sempre sulla tavola a fare windsurf con mio padre, quando invece c’era bonaccia era il momento della traina. Il Surf è arrivato a completare il mio modo di interagire con l’acqua e con le onde.”.
Non va sempre così, perché i rapporti stretti possono anche crearsi con il tempo, come quando si incontra una persona e si rimane affascinati. Così è stato, infatti, per Luca Dotto: “Allenamento dopo allenamento, gara dopo gara, il mio rapporto con l’acqua si è solidificato. E’ come parlare di una vera relazione: ci siamo incontrati, conosciuti, frequentati e poi innamorati, non potendo più fare a meno l’uno dell’altra.”
Un rapporto, inoltre, è fatto di tenacia, dedizione e quotidianità, che per l’atleta si traduce nell’allenamento agonistico, in cui bisogna mettere le basi per costruire un qualcosa che poi, in realtà, si sviluppa in pochissimo tempo nei secondi di gara, una prova che non hai la possibilità di vivere spesso e in cui ti giochi gli sforzi di anni.
Dalle parole dei nostri personaggi, la relazione che si ha con questa particolare scansione del tempo è relativamente stressante, è più che altro il modo in cui si affronta l’allenamento a determinare il giusto rapporto con l’alternarsi di brevissimi e lunghissimi momenti.
Racconta Michele Benedetti: “Penso spesso a questa proporzione del tempo che scandisce la mia disciplina. La soluzione è non farsi sopraffare dallo stress, ma usare il sorriso durante l’allenamento, sfruttando al meglio quelle ore, senza mollare, perché, infondo poi, ti ritorna quello che vali e il saper rispettare l’acqua fa la differenza.”
Questo rispetto dell’acqua nasce prima di tutto dallo studio che si fa di essa, proprio perché, secondo il grado di conoscenza che si ha, si può riuscire a sfruttarla a proprio favore, specialmente nel momento più intimo che si crea tra l’atleta e il suo habitat, riassunto nelle parole di Elia Luini: “Quei pochissimi secondi prima di partire, nel momento che precede la gara, si studia l’acqua, per cercare di capire che scherzi può farti. Il bene o il male che puoi trarre da essa dipende dalle circostanze, proprio perché è mutevole. Si cerca, allora, di coglierne il cambiamento e ricavarne solo dei benefici”.
Parte del fascino dell’acqua risiede appunto nella sua mutevolezza. I rumori che essa provoca hanno in sé qualcosa di magico. Se da un lato ti danno il ritmo per proseguire al meglio nella competizione, come il susseguirsi delle bracciate per Luca Dotto o lo scivolare armonico della barca per Elia Luini, dall’altro possono anche completamente sparire. Infatti, succede che quando la concentrazione è alta, il tuono che un’onda provoca riesce addirittura ad annullarsi una volta che Alessandro Piu ve ne fa parte con la sua tavola, oppure, analogamente per Michele Benedetti, quella che solitamente è una sensazione sorda e ovattata, come lo stare in apnea, non esiste durante la gara, perché i rumori esterni, la concentrazione e l’emozione della quantità di persone presenti, vengono con te sia nei secondi che sei o ti stacchi dal trampolino, che in quelli in cui ti immergi.
Come tutte le relazioni, anche quella con l’acqua ti segna ed il corpo degli atleti è la prova visiva di questo rapporto. Un corpo scolpito da anni di allenamenti al fine di poter raccogliere i migliori risultati dall’acqua, un corpo che il più delle volte è normalmente scoperto per l’atleta, che vive la sua fisicità senza problemi, proprio perché abituato a vedere se stesso e i suoi compagni di squadra in una normale esposizione del proprio corpo che diventa il mezzo da sfruttare al meglio per vivere l’acqua. Farsi immortalare a quel punto è un’esperienza nuova, ma per nulla imbarazzante, soprattutto perché, a incorniciare quei corpi segnati da una passione, c’è la carezza dell’acqua.