MEMORIA
Una parola, un odore, un colore, un indumento, un rumore; tutto puà essere una spinta per iniziare un viaggio, uno dei più divertenti ed entusiasmanti, quello della mente. Si percorrono strade tortuose, curve, salite e discese senza una regola precisa, senza una meta. Si può partire da qualsiasi luogo, da qualsiasi situazione, senza dover per forza tornare o, perché no, riprendendo la tratta dopo pause dettate dalla realtà.
Ogni momento è l'occasione giusta per partire, per effettuare un volo o una meravigliosa corsa a ritroso che inevitabilmente ci riporterà al nostro presente. Gli oggetti e le visioni sono gli spunti migliori, i cinque sensi i compagni più validi per la traversata e, come delle guide, ci portano a cogliere segnali che scatenano in noi vortici capaci di farci cambiare direzione nel tragitto. A bordo di un auto, nei gesti quotidiani, osservando il nostro guardaroba, scavando nella nostra soffitta o, perché no, camminando per strada e osservando le persone, anche in maniera distratta, la nostra attenzione viene magneticamente attratta da un particolare che si impossessa di noi e ci fa vivere per un istante, più o meno lungo, una sensazione familiare, che rievoca sorrisi e occasioni in cui quel dettaglio era entrato nella nostra vita. Una sorta di alienazione temporanea della realtà che, velocissimamente, ci porta indietro nel tempo, come in un déjà vu dove tutto è nel presente, ma con radici molto lontane; un qualcosa di già vissuto, a cui ci siamo affezionati e che, per un qualche motivo, avevamo rimosso o accantonato nella nostra vita. Si continua nel viaggio, anche più volte al giorno, fino ad arrivare al traguardo delle nostre visioni, racchiuso in una sola parola: memoria, un'arma a doppio taglio, odiata quanto amata, capace di impossessarsi di noi e di catapultarci altrove con un solo sguardo, parola, tocco, sensazione.
LEGO
Una distesa di ciottoli colorati, colori sgargianti a decorare palazzi antichi, moderni e ricostruzioni. Un colpo d'occhio incredibile, quasi di un altro pianeta: Billund è l'unico posto al mondo dove Venezia confina con un safari, un volo in elicottero termina in una cittadina western e un trenino porta fino alla "terra dei pirati". Sembra un luogo surreale, ma è come stare nella realtà: è la sensazione che tutti abbiamo vissuto giocando con i fantastici mattoncini Lego. Chi non ha mai provato a combinare in mille odi diversi una pila dei famosi cubetti? Chi non ha mai sognato di possedere tutti i personaggi, più di 4 mila? E chi, infine, non ha mai creduto reale quella stazione dei pompieri, quel castello o quella nave? I viaggi possibili sono infiniti, così come l'opportunità di costruire la nostra casa, la nostra automobile o interi monumenti con questi mattoncini colorati. Partendo da uno dei giochi più ingegnosi e stimolanti, la fantasia cavalca onde altissime e la nostalgia è così tanta da farci desiderare ancora oggi tutti i giochi del momento: il castello di Harry Potter con il cast al completo, i modellini di vetture spaziali, la riproduzione della saga di Star Wars, i giochi da tavolo, dove prima o poi si costruisce il campo e prima o poi si passa all'azione. Tutto è decisamente reale, dal più piccolo dettaglio fino agli ingegnosi marchingegni che riproducono alla perfezione i movimenti di montacarichi, rotaie, gru. Nella nostra mente Lego è sinonimo di cubetti componibili, con il rosso come predominante a colorare la plastica utilizzata nel produrli. Nella mente di chi li ha inventati, invece, c'era un forte legame con la tradizione: un capocannoniere danese, Ole Kirk Christiansen, innamorato delle costruzioni decise un giorno che il suo futuro sarebbe stato in una fabbrica di giocattoli a Billund, il luogo ideale in cui tradurre la sua passione e il suo lavoro in un gioco fatto di mattoncini componibili, il primo dei quali - tutto in legno - risale al 1932.
SWATCH
“How long is a Swatch minute? Time is What you make of it” così si concludeva lo spot di Swatch di qualche anno fa. Una sorta di manifesto del nostro tempo, una spinta a vivere al massimo le nostre giornate. Un orologio può portare con sé anche questo, essere un accessorio che da polso, non solo per scandire le ore, ma anche per ricordarci che il tempo che scorre può essere plasmato e deciso da noi stessi, dalla personale scelta del modello, fino a arrivare al numero di volte che gli si rivolge lo sguardo. Un elemento che può creare ansia, così come attesa, un oggetto indispensabile che ci riporta indietro nel tempo a ricordi d’infanzia, quando abbiamo imparato a leggere l’ora con il famoso “flik flak” o quando, con i soldi messi da parte dalla paghetta, ci si è accaparrati una delle edizioni limitate firmate da Keith Hearing, piuttosto che Vivienne Westwood o la famosa collezione ispirata a 007. Swatch fa parte del tempo di tutti, proprio perché coinvolge diversi mondi, come l’arte, la moda e lo sport, facendo in modo che ognuno possa trovare il giusto accessorio da portare al polso. Non guasta mai averne uno in più, collezionarli o conservarli, perché sono fatti per essere cambiati, vissuti, distrutti e ricomprati, come nella volontà del fondatore di casa Swatch, Nicolas G. Hayek, che a metà degli anni settanta vinse una sfida con il Giappone nel creare l’orologio più sottile al mondo e poi convertirlo dall’oro alla plastica, per renderlo accessibile, sfruttabile e da collezionare in grande quantità, grazie a una trovata geniale che unisce un’altissima qualità del meccanismo a un prezzo decisamente abbordabile. Swatch nasceva in un momento di crisi dell’industria orologiaia, quando si pensava che possedere un orologio fosse un lusso per pochi e non del tutto desiderato. Il genio, la fantasia e la capacità di osservare il mondo ebbero la meglio, il resto è un oggetto che tutti continuiamo ad avere al polso.
NIVEA
Passando in rassegna i vari barattolini accatastati nei bagni di tutte le case, c’è una macchia di colore ricorrente, un blu intenso profilato di bianco, che evoca ricordi legati a un odore, una sensazione vissuta o semplicemente qualche racconto della mamma e della sua adolescenza. Tutto questo si può racchiudere in un contenitore circolare di latta contenente una crema densa che tutti, una volta nella vita, abbiamo usato. La molteplicità dei prodotti a nostra disposizione oggi ci confonde e ci fa perdere il loro vero scopo. Anche NIVEA, il barattolino in questione, offre tutte le attenzioni possibili a qualsiasi tipo di pelle con linee dedicate al sole, all’uomo, alla cura degli inestetismi e così via… ma abbiamo tutti ben impresso nella mente la sua confezione per eccellenza e i suoi possibili utilizzi, dal detergere il corpo, al proteggersi dal sole e dal freddo. Una sorta di angelo custode al quale tutti ci siamo rivolti almeno una volta, seguendo il consiglio di una mamma o una zia che ci ha raccontato di quanto era potente la sua capacità di ammorbidire e nutrire la nostra pelle. Probabilmente in tutti i bagni in qualsiasi decennio passato era presente un barattolino NIVEA e non per puro caso. Gli sfavillanti anni 90 e 80 raccontano di un boom della bellezza, le minigonne degli anni 60 la necessità di mostrare una pelle lucida, le famiglie degli anni 50 con la loro voglia di viaggiare e il bisogno di un unguento pratico e adatto a diverse pelli, fino alla mania dell’abbronzatura degli anni 40, con il maniacale bisogno di stimolare la melanina. Un’evoluzione quasi naturale di un oggetto di casa che tutti ricordiamo nello stesso modo da quando siamo nati, con la sua sensazione di freschezza e amore per se stessi, trasmessa dai suoi colori e le sue immagini di comunicazione. Nasceva così NIVEA, un barattolino giallo in stile Art Nouveau, contente una crema, “bianca come la neve”, nata dall’unione di tre menti tedesche che resero omaggio alla scoperta dell’Eucerit, la miscela in grado di legare insieme acqua e olio a creare una formula esplosiva in un unico prodotto, capace di idratare ancora la pelle al meglio, dopo oltre cento anni di storia.
LACOSTE
Sulle sponde di un fiume un coccodrillo osserva la sua preda, la studia, capisce qual è il suo punto debole e dove può attaccarla. Una volta studiata la strategia entra in campo, la blocca, non molla la presa e la fa sua, memorizzando la tecnica usata. Le fauci si spalancano e velocemente fanno sparire l’avversario, lasciando pochi concorrenti, che non possono far molto davanti alla tradizione millenaria della sua tattica. Un animale che non muta nel tempo e che porta alta la bandiera della battaglia sul campo, fatta non solo di denti, ma anche di astuzia. Il coccodrillo rimane così, stessa pelle, stesso aspetto adeguandosi solo alle necessità del clima e dell’ambiente. La sua fama diventa globale e conquista il titolo di testimonial, donando la sua immagine a una delle polo più note, dal nome LACOSTE. Una maglia in cotone jersey piqué traspirante, usata sui campi da tennis, come nel tempo libero, con l’inequivocabile stemma che riproduce l’animale a fauci spalancate, applicato su diversi colori di t shirt che ormai hanno fatto il giro del mondo. Questa è la storia di un coccodrillo chiamato Renè, con il vizio della racchetta e la smania di vincere con astuzia, consapevole dei propri limiti e altrettanto capace di trovare una soluzione per superarli. L’inventiva sul campo si traduce in necessità per se stesso di muoversi agilmente; Renè trova il modo di produrre la nuova divisa da tennis che coniuga la praticità della t shirt, all’eleganza della camicia. L’invenzione diventa subito leggenda, così come il simbolo applicato, nato da una richiesta frivola, quanto di lusso: una borsa di coccodrillo come premio se avesse vinto la Coppa Davis nello scontro con Tilden nel lontano 1927.
TOD'S
In una metropoli dove tutti corrono, ci sono degli oggetti che proseguono nella maratona in maniera rischiosa, ma decisamente intelligente, liberandosi dal continuo ricambio e ingegno nello sfornare qualcosa di nuovo ogni sei mesi, odiando l’affanno dell’inseguire il consumismo. Decidono così di sfidare le novità, i così detti trend del momento e puntano al durare nel tempo, all’essere indistruttibili e inequivocabilmente eterni. Sembrerebbe assurdo, ma delle scarpe possono anche durare all’infinito, nella forma, nel colore e nella loro suola. Si consumano, ma sono sempre una valida spalla, che non lascerà mai il piede di chi le ha scelte. Il nome di questa leggenda è Tod’s, il mocassino elegantemente casual, adatto a qualsiasi occasione, pronto ad affrontare il lavoro, il tempo libero e persone di ogni età. Una sorta di calzatura free lance, che ha il suo asso nella manica nella suola: una distesa di sfere in gomma che accompagna il passo sul cemento, così come in uno spazio chiuso, che si coordina alla pelle, rigorosamente lavorata a mano. Il gommino si afferma ogni giorno sempre di più, in Italia, come all’estero, affrontando la sfida più ardua: la concorrenza, che spinge a promuovere il ricambio stagionale delle calzature. Tod’s vince la sfida e, senza nemmeno dover sgomitare troppo, si ritrova in un momento a New York, in Francia, in Giappone, ovunque, aumentando la sua produzione in maniera esponenziale. Potrebbe essere considerata una scarpa malinconica, legata ai suoi antenati. E’ come se portasse ogni giorno con sé l’immagine di un prozio in un taschino, cercando di omaggiarlo e emularlo in maniera sofisticata, ma del tutto attuale: la mente dietro Tod’s porta il nome di Diego Della Valle, che ha avuto l’occhio lungo, quando, negli Stati Uniti ha notato le calzature dei piloti degli anni 50 e ha deciso che sarebbero state tra le scarpe più vendute, prodotte ancora a mano nel laboratorio di Casette D’Ete, dall’inizio del secolo scorso fino agli anni duemila.