Music Director Marzo 2025: Settembre
Settembre è il Music Director di Marzo 2025
Abbiamo intervistato Settembre, il vincitore di Sanremo Giovani 2025 che sta partendo con il suo primo tour italiano. Tra il forte legame con le radici e la volontà costante di evolversi, Andrea Settembre è il Music Director di Marzo e ha curato una playlist in esclusiva per i lettori di Harper’s Bazaar
Settembre si racconta dopo la vittoria dell’ultima edizione di Sanremo Giovani e la preparazione del suo primo tour Italiano che toccherà le città di Roma, Napoli e Milano. Un dialogo sincero, rivolto ai giovani, dove le sue radici e l’entusiasmo per il presente, si proiettano verso un futuro fatto di curiosità e musica. Settembre è il Music Director di Marzo 2025 e ha curato in esclusiva per i nostri lettori una playlist direttamente dai suoi ascolti personali che lo influenzano quotidianamente.
Quali sono state le tue prime influenze musicali?
Sono cresciuto in una famiglia dove la musica è sempre stata protagonista. I miei genitori fanno altro nella vita, ma mi hanno sempre trasmesso il valore della musica come momento di unione. Mia mamma è sempre stata una grande fan di Pino Daniele, mio padre grande fan dei Pooh, per cui sono cresciuto con tanta musica italiana, ma sono sempre stato curioso. Ricordo che a otto o nove anni, avevo un iPod di mio padre dove c’era la possibilità di registrare. Io fingevo di avere una stazione radiofonica e di esserne il conduttore, per cui presentavo le canzoni caricate sul dispositivo e fingevo che ci fosse lì qualcuno con me a condividere l’ascolto. C’erano tante canzoni di Rihanna, Nelly Furtado e altre che non avevo mai sentito prima. Direi quindi che le mie prime influenze sono state un accavallamento tra passato e contemporaneo, qualcosa che ancora oggi porto con me.
Oggi che fruitore di musica sei?
Mi piace molto ascoltare musica del passato, ma anche attuale e sperimentale. E’ un ventaglio molto ampio. Pensandoci, l’approccio non è cambiato rispetto a quando ero bambino. Come ascolterete nella playlist che ho curato per i lettori di Bazaar, i miei interessi sono un mix che va dai Beatles a Rosalìa, in questa continua connessione tra i classici e il presente.
In questi anni in cui la tua carriera musicale ti ha posto sotto i riflettori, portandoti anche lontano da casa. Quando ci si allontana si ha un punto di vista diverso sulle proprie radici. Che valore hanno oggi per te?
Sono molto legato alla mia famiglia e alla mia città, un legame che definirei intenso e viscerale. Sono tanto legato a Napoli, ai suoi luoghi e alla sue persone, cosa che porto nella mia personalità, nei miei racconti e nelle mie parole, così come nella musica. Le mie radici sono sempre molto presenti e vivo ancora a Napoli con la mia famiglia. So che prima o poi cambierò casa, ma già l’idea di dover lasciare Napoli, qualora dovessi farlo per motivi lavorativi, sarà difficile. Quando mi capita di stare periodo lunghi fuori - come ad esempio è successo con la mia esperienza a X Factor - è sempre complesso. Mi rendo conto di quanto poi, una volta tornato, a casa io riesca a apprezzare ancora di più i luoghi, i gesti e le mie radici.
Passando a Sanremo, questa esperienza è un traguardo o un punto di inizio per te?
Per me Sanremo è un punto di inizio, credo sia un momento importante che porterò con me a lungo. Il bello si vedrà dopo con la musica e i concerti, per cui si è un bellissimo punto di inizio.
Nel tuo brano Vertebre parli alla tua generazione, chiedendoti tanti perché. Mi colpisce l’attenzione verso gli errori, errori che possiamo commettere noi o gli altri. Che valore hanno per te gli errori?
A 23 anni gli errori sono lezioni con un valore importante. I detti popolari non hanno mai torto: sbagliando si impara e bisogna sbagliare per imparare a vivere, dato che questo manuale di esistenza nessuno lo ha. L’unico modo è fare esperienza attraverso il bellissimo flusso della vita fatto anche di errori, con cui è giusto avere un rapporto sano. Siamo abituati ad aver paura degli errori ed è un discorso che faccio anche a me stesso, sono terrorizzato. Bisogna combattere la cultura della perfezione. Cerco sempre di essere adeguato, un atteggiamento alle volte malsano. Indipendentemente dall’età, credo che l’accettazione della bellezza degli errori sia una lotta che ci coinvolge un po’ tutti.
Allo stesso tempo, a specchio, ti rivolgi anche gli adulti. Quando dici che nessuno ci ha mai detto come si piange o come si ride alla nostra età, parli del confronto tra generazioni e dei diversi ruoli. Pensando alla tua generazione, in questo momento, percepisci aspettative o giudizio da parte delle generazioni più adulte?
Credo entrambe. Vent’anni alla fine li abbiamo avuti tutti, forse uno poi dimentica come sia viverli e tende a farsi prendere da quello che è l’essere adulto con tutte le sue responsabilità e tendi ad aspettarti di più dai giovani, perché conosci il tracciato e sai quello che ci sarà dopo. Credo che sia difficile avere vent’anni, perché non sei né un adulto, né un adolescente. In quest’era, poi, lo è ancora di più con l’avvento dei social, i problemi generazionali e il Covid, che è stato qualcosa di molto impattante. Per cui penso che in realtà le persone più adulte abbiano un mix di aspettative e giudizio nei confronti dei giovani, dato dall’era che viviamo e dalla naturale distanza.
In generale la tua musica combina un aspetto intimo e riflessivo ad uno più leggero, alla ricerca della bellezza. In questo momento, c’è un messaggio che vorresti far passare al tuo pubblico attraverso le tue canzoni?
Ogni canzone ha un messaggio. Quello del mio EP che racchiude anche Vertebre ad esempio, è quello di voler analizzare e raccontare in maniera autentica, proprio per la mia età, come si vivono questi vent’anni oggi. Esperienze, vulnerabilità, paure, nuove esperienze, incontri, sogni, delusioni e non solo. Più che un messaggio, forse vorrei far passare una fotografia, scattata attraverso i miei occhi. Quello che a me piace di più è che il messaggio lo elaborino gli altri e che riescano a cogliere sfaccettature diverse rispetto alle mie. Succede anche a me, come fruitore di musica. Magari posso aver dato un significato diverso rispetto a quello originale dell’autore, perché ho vissuto quella canzone in un momento specifico della mia esistenza e nel mio cuore rimarrà così, anche se magari poi dovessi scoprire che il messaggio di partenza era un altro. Proprio per questo, apprezzo molto quello che fa Billie Eilish quando dice che cerca di non spiegare mai quello di cui parla una canzone, perché ognuno si lega alla musica a partire dalla propria emozione e lettura che deriva dal vissuto personale e al contesto sociale. Mi rispecchio molto in questo, perché la musica è libera.
Ti stai preparando anche ai tuoi primi grandi concerti di Roma l’8 marzo all’Auditorium Parco della Musica, Napoli l’11 Aprile alla Casa della Musica e Milano il 19 maggio ai Magazzini Generali. Come stai vivendo questo momento?
L’idea del mio primo tour è qualcosa di incredibile per me. Sono abituato a stare sul palco, ho fatto e continuo a prendere parte a tante cose che coinvolgono diversi artisti, ma il passaggio da quello ad un qualcosa di interamente mio è una sensazione particolare. Non credo di averlo ancora realizzato, anche perché Sanremo è stato intenso e lo sarà ancora nei mesi a seguire. A me non pesa affatto, io sono qui per fare musica ed è la mia missione, il mio scopo. Sono entusiasta, voglio viverlo, non vedo l’ora.
Se potessi farti un augurio sul come vivere tutto questo quale sarebbe?
Di godermi tutto, perché un giorno è così e l’altro chi lo sa. Dobbiamo essere ancorati al presente, perché il futuro è un’incognita oggi e il passato è già successo. Personalmente ho difficoltà a godermi i momenti, perché penso sempre a tante cose, tanti aspetti che rivedo. Sono molto autocritico, per cui voglio vivermi il momento e assaporarlo.
Hai curato la Playlist di Marzo per Harper’s Bazaar. Come la descriveresti?
Una piccola missione di spionaggio tra le mie mura. C’è tanto delle mie radici, del mio passato e della mia evoluzione: è un pezzo della mia personalità.