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Flamboyant Magazine

Collaborazione attiva dal 2010 al 2011

IL MAPPACORPO a.k.a BODY MAP

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Il Mappacorpo, questo sconosciuto, fu la geniale performance di Enrico Job datata 1974. La sua body art consistette nel unire circa mille fotografie della sua pelle a formare delle figure, o meglio, delle mappe, con un unico scopo: cercare di fermare qualcosa che è sempre in movimento, come il corpo. Il suo lavoro fatto di griglie e illusioni ottiche, quasi a formare un rompicapo, unisce la tridimensionalità alla bidimensionalità, dando una nuova chiave di lettura del corpo umano. Dopo meno di dieci anni questa opera fu ripresa da due giovani designers londinesi, che vollero incentrare il loro lavoro su zone anatomiche generalmente non considerate dal mondo della moda. Stevie Stewart e David Holah furono le menti del progetto, la Londra anni 80 e artisti come Leigh Bowery, Michael Clark e Boy George, i sostenitori più alti.

Il corpo fu analizzato dai due giovani studenti del “Middlesex Polytechnic” di Londra in una maniera del tutto “anti-fashion” ponendo stampe, buchi e volumi in punti specifici della silouhette, spostando l’attenzione da un punto all’altro. Capovolsero la moda dal punto di partenza, il corpo, sfruttando punti troppe volte dimenticati da stilisti, sarti o aspiranti tali.

I loro tagli, le loro forme arrivarono al successo attraverso sfilate i cui nomi sono più esplicativi di qualsiasi parola: “Barbie Takes a Trip Around Nature's Cosmic Curves” del 1985 vedeva luci fluorescenti a illuminare modelle vestite ai lati della passerella con costumi da bagno scintillanti che sembravano fatti di gomma, decisamente in anticipo sui i tempi di Baywatch e della Gym Fashion. E’ poi la volta dello show chiamato “Family” con protagoniste mannequins di qualsiasi età e taglia, con la partecipazione speciale delle mamme degli stilisti a sfilare sulle note di un live di Helen Terry. Testimonial d’eccezione Michael Clark, che vestì Bodymap nel balletto “No Fire Escape in Hell” del 1986, oltre a essere indossatore danzante sulle loro passerelle.

Ovviamente come in quasi tutte le storie di talento, non arrivarono i soldi sufficienti per tirare avanti il brand e così  Stevie Stewart e David Holah nel 1986 abbandonarono il progetto Body Map proprio nel momento di maggiore richiesta, quando si litigava per i loro capi e la mania stava per scoppiare. Da quel momento il duo si dedicò e si dedica ancora a consulenze e progettazioni per  marchi che nacquero sulla scia della morbidezza del Mappacorpo, come Benetton e Fiorucci.  Oltre alla bellezza delle stampe, dei volumi, dei tagli, dell’aver dato il via a una moda irriverentemente comoda e loosie addicted, la cosa più bella del duo è la consapevolezza di non poter far rivivere un’epoca ormai finita da un pezzo (ahimè) :

'We still have the Body Map family, but we're not trying to relive the Eighties,' says Stewart. 'The music is different now, as is style and fashion. The drag thing that was big in New York then has become more mainstream. People are dressing up again.'

Do not waste the eighties!


THE HOUSE OF BEAUTY & CULTURE VS DOVER STREET MARKET

JUDY BLAME

Dover Street,

London

Market?

Questa la formula alla base di un amore contrastato per uno dei figli di Rei Kawakubo, il Dover Street Market, il pargoletto di sette anni nato nel nome del caos e della bellezza. 

La notte del concepimento tutto suonava perfetto: l’afrodisiaco d’ispirazione fu l’inebriante Kensington Market e il suo periodo d’oro degli anni ottanta, un vero e proprio vulcano di nuovi talenti che vendevano la loro visione della moda a tutti coloro che potessero apprezzarla. 

Ligio compagno di Rei fu la ricerca e la dedizione nel mettere al mondo un “piccolo” angolo visionario, dove un tendone da circo si trasformava in camerino, tubi d’acciaio e teloni di plastica a dividere gli ambienti e milioni di nomi e forme a riempire uno spazio di 6 piani, dall’ingegnoso seminterrato, al british coffee bar sulla vetta. 

Le influenze più svariate arrivarono a colpire la preparazione del piccolo Dover, così come la perdita, lungo la via dell’infanzia, del concetto di partenza: il mercato dei giovani creativi. Se da un lato ci si innamora del ripieno di un palazzotto all’inglese, farcito di meravigliosi tagli, tessuti e colori, dall’altro si finisce tristemente a far visita a casa di Rei come in un museo, dove ben poco si può toccare, tanto meno acquistare. La presenza poi delle nonne bene e in forma di Dover, a fare regali al giovane pargolo, fa sì che il pensiero si rivolga ad altre realtà che, senza chissà quali progetti di partenza, raggiungevano lo scopo del grande calderone del talento. Parliamo di uno zio di Dover, Judy Blame, curatore del basement del negozio, dove la street culture si lega al lusso dei piani superiori. Judy Blame ha legato il suo nome al Dover Street Market negli anni, mettendo in vendita le sue creazioni di gioielleria metallurgica, che nascevano nella Londra degli anni 80 in particolare nel suo storico negozio,The House of Beauty & Culture, un emporio della moda con una decisa dichiarazione estetica a partire dalla sua vetrina, una grata di metallo e il pavimento interno ricoperto di monete provenienti da tutto il mondo. Venti anni prima che la Dalston Junction di Londra diventasse il nuovo “quartiere degli artisti”, diverse personalità si unirono nel nome del vero caos e delle vera bellezza:

Christopher Nemeth stilista che basava il suo lavoro sulla personalizzazione iconoclasta degli abiti attraverso gli individui: “Ten people can all wear the same jacket but it will look different on every one of them”. Il suo lavoro di customizzazione e chiasso fece eco nella cultura inglese e nell’individualismo, sfociando nel vero successo in Giappone, dove la sua attitudine da disturbatore trovò largo seguito. 

Anche Richard Torry ebbe spazio nel negozio per la sua moda, prima di dedicarsi completamente alla musica, sua reale vocazione, così come John Flett, altro geniale designer prematuramente scomparso, i cui tagli e lavorazioni visionarie furono paragonate a quelle di John Galliano.

John Moore, fondatore principale con Judy Blame del The House of Beauty & Culture, era addetto alle calzature…le sue meravigliose calzature. Un incontro tra la durezza delle sue resistenti suole militaresche e le morbide forme, stondate e arricchite da ribbon laces e intarsi in pelle arricciati o “semplicemente” applicati come fibbie e toppe. Gioiellini così fuori dal tempo da essere ripresi da  Joe Casely-Hayford per diverse capsule collections in collaborazione con il recentemente scomparso John Moore. Infine Fiona Bower con i suoi cappelli a violentare elegantemente i classici della cultura inglese.

Se solo Judy Blame fosse il papà di Dover e non solo lo zio, forse si potrebbe sconvolgere la formula di base.

The House of Beauty & Culture,

London

Market!